L'incidente di due anni fa con la (presunta) amante sembra avergli lasciato strascichi solo sulla mano destra, ora guantata e sostanzialmente inutilizzata (in una posa vagamente napoleonica). E anche lo scandalo della sua relazione con la figlia della figliastra, di 45 anni più giovane di lui e nipote acquisita, gli è scivolata addosso in maniera ammirevole (altro che Woody Allen). E se si aggiunge che Morgan Freeman più invecchia e più migliora, nel viso lentigginoso come nella capacità di recitare, si capisce perchè lo scelgano per i ruoli più difficili. O per dare vita a delle icone: Dio e il presidente degli Stati Uniti- "ma quelli erano ruoli facili, potevi farli anche tu"- e ora Nelson Mandela. Gentile e preciso, parla del suo Invictus (in Italia uscito in 400 copie il 26 febbraio), diretto da quel Clint Eastwood che già gli fece vincere un Oscar con Million dollar baby.
Quinta nomination all'Oscar, seconda con Clint Eastwood. Che emozione prova?
Sembrerò snob o contro corrente, ma confesso che l'Oscar non mi fa nè mi ha mai fatto perdere il sonno. E' un premio ambito ed è un grande onore riceverlo, ma per me il più grande riconoscimento rimane sempre la convinzione personale di aver fatto il massimo. E poi questo rimane un lavoro, per quanto bello ed emozionante. Ero molto più teso alla prima di Invictus, se devo dire la verità.
Prova ancora l'emozione della prima? Con tutta la sua esperienza?
Non sempre, ma questa volta sì. E credo sia abbastanza comprensibile: ero a Johannesburg e accanto a me sedeva proprio Nelson Mandela. Io ho già qualche problema a rivedermi sul grande schermo a poche settimane dal set, di solito faccio passare diversi anni per guardare un film in cui ho lavorato, in quel caso sedevo accanto alla persona che interpretavo. Non mi vergogno nel dire che guardavo più spesso Madiba (è il nome del clan xhosa di cui il leader fa parte) che la pellicola, per spiarne le reazioni.
E qual è stato il verdetto?
Positivo, credo. Non ha espresso in maniera esplicita il suo consenso, ma i suoi larghi sorrisi manifestavano la sua approvazione al nostro lavoro. Il mio imbarazzo, il mio sentirmi strano derivava anche dalla nostra amicizia, ci frequentiamo da 15 anni e quindi era ovvio che sentissi questo ruolo non solo in tutta la sua importanza storica e professionale, ma anche a livello emotivo e personale.
Un ruolo che cercava da tempo, vero?
Sì. Ci tenevo molto a interpretare Mandela e fortunatamente tre anni fa arrivò a me e Clint Eastwood il libro di John Carlin (Ama il tuo nemico, ed. Sperling & Kupfer), che ci è sembrato immediatamente perfetto. Anche se, lo confesso, il rugby per me è uno sport sconosciuto- preferisco il golf- abbiamo trovato in quella storia esemplare, e soprattutto verissima, una forza incredibile. Grazie al rugby, che come tutti gli sport di squadra sa abbattere barriere e confini, si costruì una nazione. E mentre il regista sentiva, forse, più la potenza politica della vicenda, io mi sono concentrato sul carisma di Madiba, sulla sua filosofia, sulla sua capacità di leadership che nasce da una dote rara come l'empatia e da una straordinaria sensibilità. Il Mandela uomo è fondamentale per capire il Mandela statista.
